WRITING

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A cura di ANDREA CURTI

mercoledì 8 novembre 2017

INIZIATIVE - Per Eliseo Cultura dal 13 novembre all’11 dicembre: Il Manifesto del libero lettore.

Alessandro Piperno, il grande autore italiano, Premio Strega 2012, e la giornalista Annalena Benini conducono il pubblico del Piccolo Eliseo in Roma (Via Nazionale 183, ingresso libero), per cinque lunedì di seguito dal 13 novembre all’11 dicembre, attraverso i segreti della letteratura e con un’analisi di alcuni dei maggiori maestri della scrittura che diventano esempio di scuola.
13 novembre - Elogio del libero lettore: i libri di cui non possiamo fare a meno.
Se lo scrittore è minacciato da un mucchio di remore e divieti, il lettore ha solo diritti. Può aprire qualsiasi libro e se proprio non gli va a genio, chiuderlo al secondo capoverso e volgersi altrove. Ecco perché lo abbiamo chiamato il libero lettore. Si lascia guidare dal capriccio, dalla sete e dalla necessità. Il libero lettore è un dilettante, e come tale aspira al diletto. È il tipo che immergendosi in un’opera di narrativa non sta lì a interrogarsi sullo spazio che essa occupa nella storia letteraria; né si chiede se sia realista, vittoriana, modernista, tradizionale, sperimentale, di genere. Il libero lettore tralascia i proclami estetici dell’autore, le dotte postfazioni e i peana del risvolto di copertina. Cerca atmosfere, personaggi, buone storie, mica qualcuno che gli spieghi perché cercarle è un obbligo morale. La sola classificazione che lo interessa è quella che separa i romanzi che producono endorfina da quelli che fanno venire l’emicrania, i pochi che cambiano la vita dai troppi che non cambiano niente, se non talvolta l’umore.
20 novembre - Incipit, la bellezza di cominciare.
Un autore non dovrebbe considerare se stesso come un gentiluomo che offra un pranzo in privato o per beneficenza, ma come il padrone di una taverna nella quale tutti sono i benvenuti in quanto ospiti paganti. È il celebre incipit del Tom Jones di Fielding. Il suo genio audace e spiritoso lo porta a immaginare un romanzo come una locanda in cui gli avventori possono scegliere le pietanze più adatte al loro palato capriccioso. A noi, invece, piace immaginare i romanzi come un ricevimento elegante con un bel buffet. Scrivere un romanzo è come organizzare una festa: la cosa difficile è creare l’atmosfera. Nell’Ottocento i romanzieri erano molto attenti a mettere a suo agio il lettore: poltrone comode, cibo squisito, musica di sottofondo. In seguito una naturale evoluzione dei costumi avrebbe spinto i narratori a un’ospitalità meno convenzionale e più pirotecnica, ma questa è un’altra storia. Resta il fatto che un romanzo amato ti lascia nel cuore lo stesso sentimento di benessere di una festa riuscita: dopo qualche tempo tendi a dimenticare pressappoco tutto, se non il clima fatto di profumi, variazioni, colori. Indugiando sulla metafora gastronomica si può dire che gli incipit siano una specie di mise en bouche, lo stuzzichino con cui veniamo accolti nei ricevimenti eleganti. Biglietto da visita dello chef, serve a sedurci, ma non troppo, a stimolare le papille senza esagerare, a dare un primo piccolo saggio del viaggio che siamo pronti a intraprendere. Sbagliare lamise en bouche può essere fatale.  Così come sbagliare un incipit. Non tutti gli incipit sono uguali. Ci sono gli incipit sapienziali, gli incipit cinematografici, gli incipit icastici, gli incipit confidenziali, gli incipit pirotecnici e tanti altri ancora.
27 novembre - Vocazione: Stendhal contro Flaubert.
Mio caro amico, mi sembrate piuttosto amareggiato, e il vostro sconforto mi rattrista, perché potreste impiegare più gradevolmente il vostro tempo. Dovete, capite, giovanotto, dovete lavorare di più. Comincio a sospettarvi di essere un po’ fannullone. Troppe puttane! Troppo canottaggio! Troppo esercizio! Sissignore! L’uomo civilizzato non ha tanto bisogno di locomozione quanto lo pretendono lor signori i medici. Siete nato per fare dei versi, fatene! Tutto il resto è vano, a cominciare dai vostri piaceri e dalla vostra salute: ficcatevelo nella capoccia. Flaubert scrisse questa lettera a Guy de Maupassant il 15 agosto 1878, due anni prima di morire, avendo puntato tutto sulla letteratura, in odio alla vita. La vocazione però è anche quella di Stendahl, che ama la bellezza e scrive con lo stesso piglio con cui conversa: per intrattenere se stesso, gli amici e le donne che gli piacciono, e il giorno che non gli va di scrivere si mette a dettare. Ma allora, di che cosa è fatta la vita di un grande scrittore? Chiudersi in una cella, come fece Balzac a vent’anni, sedere allo scrittoio per conquistare il mondo: dimenticare Parigi, gli amici, la signora de Berny, e vivere con un’intensità da monomane. Il “brivido lungo la schiena”, che Nabokov ha cercato sempre, gli ha trasformato l’esistenza in un miscuglio di avvilimento ed esaltazione, una tortura e uno svago, duecento buone pagine l’anno, e la beatitudine di una frase, la commozione di un personaggio. La mia vita è la lotta fra l’impetuoso desiderio di scrivere e una serie di circostanze atte a impedirmelo, ha detto Fitzgerald dopo aver conosciuto Zelda. Indagine letteraria e mondana sulla lotta fra il desiderio e la volontà.
4 dicembre - Innamorarsi: le donne, il sesso e l’esaltante dolore dell’amore.
L’entrata in scena trionfale di Anna Karenina, con il piglio leggero di un film di Nora Ephron ma con quell’aura profetica che la rende drammatica: quanto ammiriamo, anzi amiamo la sfolgorante Anna, quanto vorremmo dirle di non alzare i suoi meravigliosi occhi grigi su Vronskij, e invece da molte pagine aspettiamo proprio quell’incontro, quell’esplosione di vitalità e di tragedia, e trepidiamo anche per lui che scende dal treno evitando di guardarla a lungo, come si fa con il sole. Tutti amano Anna Karenina, il mondo invece si divide fra chi disprezza e chi adora Emma Bovary, così volubile, carnale, frivola. La sua fine tragica verrà vendicata, molti anni dopo, da Daisy di Il grande Gatsby, la ragazza con la voce piena di soldi, la luce verde oltre la baia, vestita di bianco, che salta da una festa all’altra, da una decapottabile all’altra, e non andrà nemmeno al funerale di Gatsby. Con lei, dentro la malinconia struggente, Micòl Finzi Contini, in tenuta da tennis, così affascinante perché senza speranze, e quella scala a pioli appoggiata al muro del giardino che fa impazzire il protagonista del romanzo di Bassani. Donne vive, commoventi, ambigue, irrimediabilmente corrotte dalle moderne scuole miste, come Lolita di Nabokov. A loro i nostri amati scrittori hanno regalato il meglio, e soprattutto, che godimento, il peggio di sé.
11 dicembre - Scolpire il tempo: Proust e gli altri.
Si scrivono e si leggono romanzi per ingannare il tempo. Ma mica nel senso corrivo solitamente attribuito all’espressione. Anche se nessuno potrà negare che un ferragosto solitario voli via più lieve in compagnia di un romanzo, non è questo l’inganno che ci interessa. Bensì quello perpetrato a danno di noi comuni mortali dal tempo, al quale, da che mondo è mondo, opponiamo i non meno mendaci strumenti dell’arte e del racconto. I nemici in agguato, quelli da esorcizzare, sono sempre gli stessi: il tedio, l’oblio, la scomparsa ineluttabile di ciò che amiamo. La scoperta vertiginosa dello scrittore alle prime armi è la straordinaria flessibilità del tempo, la sua natura volubile e illusoria. Stendhal lavorò un paio di mesi su un libro che copre l’intera vita di un personaggio, Joyce ci mise anni a scrivere di un solo giorno, Broch ancor più per raccontare una notte. Del resto, anche al lettore piace crogiolarsi nelle poetiche ellissi che scandiscono le stagioni nei romanzi ottocenteschi: “Arrivò la primavera”, “Giunsero le prime piogge”, “Il Natale passò lieve, allegro e innevato come certi sogni dell’infanzia”. Per capirlo basta rivolgersi a Proust. Nessuno prima e dopo di lui ha saputo creare una sinfonia del tempo altrettanto amara e struggente.

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