Ci lamentavamo di Paolo Galgani, simpaticissimo avvocato fiorentino che,
dopo pochi giorni dalla sua prima elezione, si prese il merito della vittoria
della squadra di Coppa Davis nel '76 in Cile. E che durò un ventennio,
lasciando l'Italia tennistica del post Panatta, Barazzutti, Bertolucci e
Zugarelli impoverita nei contenuti tecnici e agonistici, con circoli e giovani sempre più lontani dal tennis. Litigò con tutti
Galgani, con giocatori e tecnici, di Coppa Davis e non, anche con giornalisti
(ad alcuni bastava ricevere un carnet di biglietti omaggio da ritirare in
biglietteria per assuefarne la verve) bravi e meno bravi, giovani e/o vecchi.
E le sue elezioni erano sempre così splendidamente bulgare, come si diceva
all'epoca per paragonarle al regime totalitario filocomunista di Zivkov prima e
di Mladenov poi, dove non era permessa la controparte, non esisteva e non
doveva esistere contraddittorio, ma veniva osannato un solo uomo al comando, un
solo condottiero, un solo candidato che si occupava del potere
politico-economico dello Stato. Ci lamentavamo di Galgani insomma ma le cose,
concettualmente parlando e anche in termini temporali (sempre di
ventennio si tratta) non sono cambiate granché. Perché l'ingegner Binaghi, al
suo primo mandato in quel di Fiuggi, spalleggiato da Panatta e Ricci Bitti poi
fatti fuori (politicamente), dichiarò che la sua presidenza non sarebbe durata
più di due mandati. E siamo al quinto, tradendo le sue stesse parole piene di
buoni propositi. Ma questa è l'Italia e i presidenti di Federazione sono dei
piccoli ministri politicanti di quella macchina politico-economico-sportiva chiamata
Coni (e voluta così da Mussolini che ne deteneva direttamente il controllo).
Perché Binaghi si è accollato meriti non propriamente suoi, dal momento che le giocatrici che hanno dato lustro all'Italia tennistica si sono
allenate con tecnici e su club tennistici spagnoli. Perché dell'enorme buco in
termini di ricambio generazionale che si è creato ora sia nel femminile che nel
maschile, cullandosi sugli allori delle vittorie di Schiavone, Pennetta, Vinci
e Errani e sui lampi del solito incostante Fognini e addirittura del fu Quinzi
(Wimbledon junior e il Bonfiglio) che ha cambiato più allenatori che fidanzate,
ovviamente non se ne può e deve parlare ad una assemblea bulgara. O meglio tutto va
bene, tutto migliorerà. Anche senza una progettazione, senza un "piano
industriale" di reclutamento, in perfetto stile galganiano. I soldi ci
sono ma non si
sa che farne ("la verità
è che ne abbiamo talmente tanti che non so dove metterli", avrebbe detto
Binaghi in conferenza stampa), e pensare di investire tutto o buona parte di
essi sul canale in chiaro non è ragionevole. Noi da sempre siamo favorevoli a
Supertennis e alla sua funzione divulgativa della disciplina sportiva (gli
onesti che pagano il canone hanno diritto anche a vedere matches di tennis),
però è pur vero che spesso statistiche e dati a confronto che ci vengono
forniti sono poco chiari e che la programmazione dello stesso Supertennis
lascia un po’ a desiderare, specie nei periodi “morti”, quando passano delle
(francamente) inutili partite di un primo turno qualsiasi di un torneo
femminile qualsiasi (ripetuto peraltro più volte nell’arco della
giornata). Meglio far vedere le
storiche partite di Panatta e degli altri moschettieri. Ma poi forse si
oscurerebbe troppo la “buona luce delle stelle” abbagliate dal ventennio Binagli.
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